sabato 9 maggio 2020

Step #06 Nella Letteratura


Una delle letture di studio del liceo che ho frequentato, è stata quella del "Decameron" di Giovanni Boccaccio: una raccolta di cento novelle scritta tra il 1349 e il 1353 considerata la capostipite della letteratura in prosa in volgare italiano, nella quale Boccaccio raffigura la società del tempo attraverso l'ideale di vita aristocratico basato sull'amor cortese, la magnanimità e la liberalità.
Il libro narra di un gruppo di giovani, che per sfuggire alla peste nera, per dieci giorni si trattengono fuori dalla città di Firenze, raccontandosi novelle di stampo umoristico con richiami all'erotismo bucolico del tempo.
Motivo per cui ho deciso di citare il "Decameron" all'interno di questo blog, è perché questo si apre con un Proemio, tramite il quale l'autore informa il lettore sui motivi per cui ha steso l’opera.
Di fatto Boccaccio afferma che l'opera è dedicata a tutti coloro che sono afflitti da pene d'amore, in particolare alle “donne che amano”, allo scopo di dilettarle con piacevoli racconti e dare loro utili consigli. L'autore dice di riferirsi alle donne per rimediare al "peccato della fortuna" alle quali , rispetto agli uomini, erano preclusi certi svaghi come la caccia, il gioco e il commerciare.

Di seguito cito la parte del Proemio dove l’autore informa il lettore circa i motivi per i quali si riferisce alle donne.

[…] Essi, se alcuna malinconia o gravezza di pensieri gli affligge, hanno molti modi da alleggiare o da passar quello, per ciò che a loro, volendo essi, non manca l’andare
attorno, udire e veder molte cose, uccellare, cacciare o pescare, cavalcare, giucare e mercatare, de’ quali modi ciascuno ha forza di trarre, o in tutto o in parte, l’animo a sé e dal noioso pensiero rimuoverlo almeno per alcuno spazio di tempo, appresso il quale, o in un modo o in uno altro, o consolazion sopravviene o diventa la noia minore. Adunque, acciò che per me in parte s’ammendi il peccato della fortuna, la quale dove meno era di forza, sí come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi piú avara fu di sostegno; in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che all’altre è assai l’ago, il fuso e l’arcolaio; io intendo di raccontare cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, raccontate in diece giorni da una onesta brigata di sette donne e di tre giovani nel pistilenzioso tempo della passata mortalitá fatta, ed alcune canzonette dalle predette donne cantate al lor diletto. […]


Riferimenti sitografici:

Nessun commento:

Posta un commento